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al testo di Dereck Louvrilanm
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È un contenitore di serie a parente. Non so dire se sia una cella: non ho lenti capaci di trapassare vestiti e carni; e scoprire come di battiti nel torace. Quindi mi informo di uno per altro e raduno memorie in cui tirare il fiato e basta. Duro a dirlo, ma sono ignoto e dell’ignoto conosco il vuoto. Sapete, cerco un appiglio dov’è appeso il lume la china che sappia fare volume o che porti un piccolo segnale: - ehi ehi, sono quiiiiiiiii… (la “i” è lunga per un vizio dialettale).
Date le circostanze attuali, rispondo agli echi, ormai abbandonati in favore dei like. Siamo voci singolari in uno spazio singolare, su di un pianeta che pare di pari, ma non lo è, però pare singolare, una serra più fragile dei petali che protegge. La mia guardia del corpo è lo spirito che regge la resa a parole. Parole maratonete che come Bikila sentono la sete quando corrono scalze all’orecchio lunato senza mai lasciare il ventre provato - un baco che non si libera del bozzolo e solo per brevi tratti si coglie a volo.
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